Le ville di Bagheria

Ultima modifica 15 marzo 2023

Le ville di Bagheria
Le Ville della Città

Villa Buttera
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Quando nel 1658 Giuseppe Branciforti, principe di Pietraperzia e di Leonforte, cavaliere del Vello d’Oro, dopo la rivolta di Napoli con Masaniello e di Palermo con Giuseppe D’Alessi, perse la speranza di avere il trono di Sicilia, decise di ritirarsi come un eremita nelle terre di Bagheria. Per tale motivo, sul portone d’ingresso della torre merlata tramite cui si accede al palazzo – non a caso rivolta ad occidente, verso Palermo – il principe fece scolpire «O corte a Dio». Sullo stesso fronte, sul portale d’ingresso, campeggia un’epigrafe in marmo che recita: Al mio Re nel servir qual’aspre e dure fatiche non durai costante e forte? E sempre immerso in importanti cure de le stelle soffrii la varia sorte. Tra le campagne alfin solinghe e scure spera la mente mia la propria morte, mentre vedovo genitor per fato rio qui intanto piango e dico «O corte a Dio». Sul lato opposto, quello orientale, sopra la porta principale si trova un’altra epigrafe marmorea che cita un sonetto di Miguel De Cervantes tratto dalla Galatea: Ya la esperanza es perdida, y un solo bien me consuela: que el tiempo, que passa y buela, llevarà presto la vida A quel tempo si era sotto il dominio spagnolo e peste e carestia facevano strage presso il popolo. Dopo l’insurrezione di Messina del 1646, anche Palermo insorse. Il popolo, che aveva innalzato il D’Alessi alle cariche supreme, ne portava più tardi in giro la testa recisa. Le congiure della plebe, le insidie dei nobili, le guerre civili lo indussero a lasciare definitivamente la residenza di Palermo per scegliere come dimora le sue terre di Bagheria, che allora era un feudo quasi incolto. Fece costruire un castello molto austero, fiancheggiato da due torri merlate in stile medioevale. Sul frontone di una di esse volta ad occidente, verso Palermo, fece incidere la data del suo ritiro e un mesto saluto con le parole: O corte, addio. Anticamente si accedeva al castello dall’antica via Oleandri che attraversava i fondi Villarosa e Cordova, rasentando la celebre Certosa dello stesso Butera, il Vallone De Spucches ripiegandosi fino a Solanto, per proseguire verso Messina. Il principe fece edificare nelle vicinanze del palazzo un teatro, e nel recinto del castello una chiesetta che fu parrocchia succursale di Palermo dal 1708 al 1771, allorquando col crescere della popolazione fu costruita la Chiesa della Madrice. Il principe Giuseppe Branciforti pare creò per il suo nome il culto a San Giuseppe, ora patrono di Bagheria. nel 1769 tracciò egli stesso il Corso Butera, (un largo corso prospicente al mare di Aspra) per mettersi in comunicazione con la strada Consolare. Nell’aprile del 1774 Vittorio Amedeo II, re di Sicilia, fece una sosta al palazzo, ospite del principe Nicola Placido Branciforte. In seguito, la principessa Sofia di Trabia affidò il palazzo alle suore per il mantenimento di un asilo frequentato dai bambini del popolo. Una lapide posta al centro del prospetto ricorda Manfredi ed Ignazio Lanza di Trabia caduti nel conflitto mondiale del 1915-18. Il Palazzo appartiene al Comune di Bagheria. 

Orari visite guidate: Dal lunedì al venerdì primo ingresso ore 9.30 e secondo ingresso ore 11.30.
Nella giornata del mercoledì è possibile anche un ingresso pomeridiano alle ore 16. Ingresso 2,00 euro.
Per prenotare le visite guidate inviare una mail all’indirizzo: turismo@comune.bagheria.pa.it
o telefonare al numero 091/943817

La certosa
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Originariamente costituiva un piccolo padiglione in stile neoclassico, posto in fondo al viale centrale di Villa Butera, fatto costruire dal principe Ercole Michele Branciforti, a seguito di un voto in onore dei Padri Certosini.
La Certosa rappresentava una vera attrazione e divenne uno dei primi musei delle cere d’Europa per la sua singolarità :raccoglieva statue in cera ad altezza naturale, raffiguranti monaci certosini ed alcuni celebri personaggi del tempo ritratti nella vita di tutti i giorni.
Il Museo delle Cere vero e proprio chiamato “il conventino della trappa” era posto al piano nobile dell’ala est della Certosa e vi si accedeva salendo una scala a chiocciola in pietra, oggi non più esistente.
All’ingresso dell’edificio un chierico con una brocca in mano dava il benvenuto ai visitatori con fare affabile, mentre un altro frate tirando la cordicella di una campana avvisava i fratelli della visita. Attraverso un corridoio, nel quale facevano bella mostra un cane San Bernardo ,un orso ed un pescecane imbalsamati, si potevano raggiungere le varie celle. Sulle pareti del corridoio erano appesi quadri ed incisioni di grande valore tra cui vari ritratti come quello dello stesso Branciforti. Nelle celle invece, si potevano ammirare preziosi affreschi.
Nella prima cella era rappresentato l’ammiraglio Orazio Nelson, seduto davanti ad una tavola ben imbandita in compagnia della sua amante Maria Carolina, mentre un cameriere negro li stava servendo. Nella seconda e terza cella si ricordava l’amore infelice tra Comincio ed Adelaide, che secondo la leggenda pur essendo molto innamorati non riuscirono ad ottenere la dispensa papale per sposarsi, perché parenti prossimi. Nella quarta stanza c’era una cucina in muratura dove un cuoco cucinava due uova in un tegamino, mentre sulle pareti erano appesi antichi utensili da cucina. Proseguendo per il corridoio, nella prima stanza a sinistra un certosino lavorava tranquillo con la pala in mano ed una cesta. Nella cella accanto Ruggero dei Normanni era seduto leggendo un libro, mentre nella cella successiva, seduti attorno ad un tavolo, discutevano il principe Ercole Michele. Branciforti, Re Luigi XVI di Francia e Ferdinando di Borbone. Nell’ultima stanza era rappresentata una scena molto drammatica che ricordava la morte del principe Caramanico.
Grazie ad un complesso ed articolato intervento di restauro, effettuato nell’ambito dei POR FESR Campania e Sicilia 2007-2013 conclusosi nel 2008, si è impedito che andasse definitivamente perduto uno dei siti più raffinati del patrimonio artistico e culturale della Sicilia.
Il Museo del Giocattolo Pietro Piraino trova una collocazione quasi naturale nella Certosa, carica della sua bizzarra storia e del suo fascino.
La Certosa, prima pertinenza di Villa Butera, è di proprietà del Comune di Bagheria.
Il biglietto per la visita al Museo del Giocattolo costa 5 euro l’intero, 3 euro

Villa Palagonia
Palagonia
 (link al sito) Palagonia
Villa Palagonia è l’emblema più importante di architettura barocca suburbana della Sicilia.
Pensata come luogo di svago e di villeggiatura, fu costruita nel 1715 dal principe di Palagonia, Francesco Ferdinando Gravina e Bonanni. La costruzione dell’originale palazzo venne affidata all’architetto don Tommaso Maria Napoli, e poi all’architetto Agatino Daidone.
Alla villa si arriva attraverso un lungo viale, dopo aver attraversato due archi di trionfo, il primo dei quali, originariamente chiamato dei “tre portoni”, non è più visibile; il secondo corrisponde all’attuale arco della Santissima Trinità, recentemente restaurato dall’amministrazione comunale.
Fu Francesco Ferdinando II, nipote del principe, l’ideatore delle numerose e grottesche statue, e del bizzarro arredamento della villa. Gnomi, centauri, draghi, suonatori di curiosi strumenti, figure mitologiche e mostri di tutti i tipi adornano il palazzo e circondano la villa.
Al palazzo si accede salendo un maestoso scalone esterno in marmi di Billiemi.
Due grosse statue di nani sembrano sorvegliare l’ingresso opposto a quello principale, al quale si accede da Piazza Palagonia.
Le mostruose caricature, che ritraggono amici e frequentatori dei trattenimenti a palazzo, furono costruite dal principe Gravina di Palagonia juniore, forse per vendetta contro il Fato, poiché egli era un uomo brutto e deforme. Lussuosi marmi scolpiti dal Gagini, raffiguranti il principe e persone di famiglia, decorano le pareti del meraviglioso salone di ricevimento. Il soffitto invece è tutto ornato di specchi e vetri dipinti. Decorata con bellissimi marmi a colori, mosaici e specchietti, artistici mensole e vasi è anche la loggia coperta, molto ammirata dai visitatori. Goethe racconta con sdegno e meraviglia le stranezze del palazzo. Una di queste per esempio erano le sedie, i cui piedi erano segati in modo disuguale così che esse rimanessero zoppe. Oppure Houel ci riferisce che vi erano sedie e poltrone talmente inclinate in avanti che bisognava fare molti sforzi per evitare di scivolare e cadere. Lo stesso custode avvertiva di fare attenzione alle sedie più solide perché sotto i velluti si nascondevano spilli e spuntoni.
La costruzione della villa costò al principe di Gravina centomila scudi.
Oggi il palazzo, monumento nazionale di proprietà privata.
Per info: http://www.villapalagonia.it

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Villa Cttolica – sede del museo gattuso
In prossimità dell’ingresso del Comune di Bagheria, in un’incantevole zona circondata dal verde, si erge austera Villa Cattolica.
Costruita nel 1736 da Francesco Bonanno, principe di Cattolica, la villa, circondata da alte mura merlate, appare come un castello di grande mole con un’artistica architettura barocca. Esso si presenta di forma quadrangolare con due esedre parallele, una delle quali accoglie lo scalone; l’altra un’ampia terrazza con loggiato sottostante, recentemente recuperato dal comune di Bagheria.
Guardando verso la parte superiore del fronte in cui si svolge lo scalone, sopra il balcone centrale, si può osservare lo stemma di Giuseppe Bonanni e Filangeri, principe di Cattolica, e l’incisione della data di edificazione del palazzo.
Dal 1973, in seguito ad una generosa donazione di opere del maestro pittore Renato Guttuso a Bagheria, il piano nobile è la sede del museo Guttuso.
Dal 1990, nell’esedra settentrionale è stato collocato il sarcofago monumentale, disegnato dall’amico fraterno Giacomo Manzù, che accoglie le spoglie di Guttuso.
Al piano terra operano da qualche anno, un laboratorio teatrale e due antiche “putìe”: quella dei pittori di carretto dei fratelli Ducato, e quella del maestro Durante, scultore della pietra d’Aspra.
Dal 1988 la Villa è di proprietà comunale.
per info: museo guttuso

 

Villa Trabia     
Trabia 
Villa Trabia fu costruita da Michele Gravina principe di Comitini verso la metà del 1700, su un progetto dell’architetto di Stato abate Nicolò Palma. La Villa viene poi acquistata dal principe Pietro Lanza di Trabia che, nel 1890, ne ordina il restauro che modifica profondamente l’originario aspetto dell’edificio.
L’attuale struttura neoclassica della villa mostra lesene, architravi e ornamenti in stucco bianco su un fondo grigio scuro, lavorato a imitazione di intonaco in stile rocaille. Decorazioni in stucco, due statue allegoriche di lato alla facciata e vasi sull’attico rappresentano le poche tracce di barocco all’esterno.
Decorazioni e affreschi delle sale interne furono eseguiti da Elia Interguglielmi tra il 1796 e il 1797.
Attraverso l’ingresso principale, al piano terra, si giunge ad un grande ambiente con volta poggiante su pilastri che fa da disimpegno e permette l’accesso al giardino, che un tempo avvolgeva la villa in una nuvola di verde.
Al centro della fontana antistante l’ingresso principale è collocata la statua dell’Abbondanza del Marabitti, opera di mirabile fattura un tempo situata nella villa Butera. Lo scultore volle raffigurare nel marmo candido una bella figura di donna seducente e piena di dolce sentimentalità, con gli occhi rivolti verso l’infinito, ricolma di fiori e di frutta, quasi in atto di offrire anche se stessa. (Proprietà privata)

Villa Rammacca
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Costruita intorno alla metà del XVIII secolodal principe di Rammacca, Bernardo Gravina, si trova alle falde del monte Catalfano.
Ad essa si accede da un lungo viale che attraversa un giardino ricco di piante esotiche.
Di estrema semplicità nelle sue linee architettoniche, il palazzo presenta sul fronte della corte un’ampia terrazza, tutta ammattonata con maiolica colorata, e con balaustra in pietra di tufo d’Aspra, che domina tutta Bagheria.
Di rilevante fattura un maestoso fastigio, in cima alla porta d’ingresso principale, sorretto da una cornice e rappresentato da due volte con statue che racchiudono lo stemma della famiglia Gravina.
Dalla terrazza si accede al grande salone, che funge da disimpegno agli ambienti del piano terra. Le decorazioni delle sale interne pare fossero di notevole pregio, ma lo stato di abbandono in cui si è trovata la villa per molto tempo non permette di verificarlo.
Sul retro dell’edificio, collocati in una piccola corte a semicerchio, si trovano una chiesa, le stalle e gli alloggi per i domestici. Proprietà privata)

 

Villa valguarnera
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Il palazzo, ultimato nel 1783, pare fosse costruito su disegni dell’architetto Sucameli, per volontà della principessa Maria Anna di Gravina principessa di Cattolica nel 1712. Ancora incompleto alla morte della sua fondatrice, l’attuale corpo di fabbrica fu ripreso e completato dagli eredi di Gravina, ma sarà la Principessa donna Maria Anna Valguarnera, le cui iniziali sovrastano i vari cancelli della villa, che la definirà nello stato attuale.
Varcato l’enorme cancello di ferro, sorretto da due pilastri in pietra d’Aspra, inizia il lungo viale.
La villa ha un’austerità di tipo neo-classico.
La facciata dell’ingresso principale presenta al centro una concavità riempita da uno scalone di granito a tenaglia e e si apre su una corte circolare chiusa dai corpi bassi. Sul portone che dà al piano nobile vi è lo stemma di famiglia, rappresentato da stucchi con due figure femminili, bandiere e animali.
All’interno del piano nobile vi è un grande salone ovale decorato con affreschi e dipinti degli illustri antenati della famiglia Valguarnera. I saloni del piano terreno presentano decorazioni dell’Interguglielmi, del Semerario, del Velasco e dei fratelli Fumagalli. I soggetti ricorrenti sono scene mitologiche dell’antica Grecia, di chiaro gusto neo-classico. Molte delle stanze sono arredate con mobili d’epoca, statue, porcellane e quadri di grandissimo pregio.
I muri del palazzo sono tutti sormontati da una balaustrata che sorregge delle statue.
L’ingresso secondario dà su un giardino pensile, adorno di statue e vasi, dalla cui balaustrata si può ammirare un incantevole panorama.
Sovrasta la villa Valguarnera una piccola collinetta detta “Montagnola” che domina Bagheria e tutto il territorio circostante. (Proprietà privata)

Villa Galletti Inguaggiato 
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È una delle ville settecentesche meglio conservate della città di Bagheria. Costruita intorno al 1770 dal marchese di Santa Marina, Giovanni pietro Galletti, è opera dell’architetto Andrea Giganti. Realizzata in tufo senza rivestimento di intonaco, mostra una decorazione caratterizzata da festoni e vasi tipici del settecento, due dei quali collocati in due nicchie ai fianchi del portone d’ingresso. Di forma rettangolare, a due piani, è addossato da un corpo a C che forma la corte posteriore, rimasta poi interrotta nella sua trasformazione in stile Luigi XIV. Sulla facciata e ai lati rilievi a intaglio riproducono elementi militari quali elmi, scudi e lance. Lo scalone interno è a due rampe, che si riuniscono sul pianerottolo del piano nobile. Sontuoso è la decorazione del grande salone centrale e delle altre sale, anch’esse riccamente affrescate.  Il palazzo è un tipico esempio della fusione tra l’austerità neoclassica e il decorativismo barocco. (Proprietà privata)

Villa San Cataldo
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Costruita agli inizi del Settecento dalla famiglia dei principi Galletti di San Cataldo, fu poi radicalmente trasformata alla fine dell’Ottocento, sia internamente che esteriormente, e decorata in stile neo gotico come oggi appare. Dell’originaria struttura settecentesca non resta che la chiesetta e l’ampio giardino all’italiana. Nulla si sa del suo progettista, e tantomeno di colui che ne apportò le ulteriori modifiche. La villa è costituita da un lungo corpo a due piani, segnato da torrette angolari che contengono le scale, al quale si affianca un cortile che ha al suo interno un piccolo giardino. Di rara bellezza è il maestoso giardino settecentesco con la sua rigogliosa vegetazione, un tempo ricco di piante esotiche; oggi coltivato ad agrumi. Esso è costituito dall’accostamento di due quadrati che formano un grande rettangolo. I viali del parco sono ancora arredati con sedili, vasi e statue, e tutto il parco è recintato da una balaustra in pietra di tufo d’Aspra. Agli inizi del Novecento la villa fu ceduta alla Compagnia di Gesù dei padri gesuiti che ne fecro la sede per l’istituto delle Missioni Estere. Nel 1998 la villa è stata acquistata dalla Provincia regionale di Palermo. Gestione Provincia e Padri Gesuiti. Vai alla pagina sul >>> giardino di villa San Cataldo. 

Villa Villarosa
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Don Placido Notarbartolo, duca di Villarosa, dà inizio alla costruzione della villa, alle falde del monte Giancaldo, intorno al 1770. I lavori vengono iniziati su progetto dell’architetto di famiglia Venanzio Marvuglia e poi seguiti via via da altri architetti fino alla fine dell’Ottocento.
La villa è una costruzione rettangolare a due piani, e presenta all’ingresso principale un grande portico in stile corinzio, ad otto colonne, al quale si accede da un’ampia scalinata in tufo arenario.
Di particolare eleganza è il prospetto rivolto verso Bagheria; molto più severo quello verso Palermo, caratterizzato da pilastri che sorreggono la cornice triangolare.
La facciata principale ha cinque aperture che danno nel salone di ricevimento, che funge da disimpegno a tutti i vani del piano terra. Il palazzo ha uno scantinato, un piano rialzato e un piano nobile. Da una scala interna, con balaustra in ferro, si accede al piano superiore costituito da diverse sale convergenti sul ballatoio, che si affaccia sul salone centrale.
Lo stile dell’edificio è ispirato al neo-classicismo, con richiamo ai canoni dell’arte greca, e privo di elementi barocchi.
Nel 1911 la villa fu data in affitto ad un collegio di padri Gesuiti che realizzarono all’interno una serie di interventi che modificarono l’assetto originario. (Proprietà privata). 

Villa s. isidoro de cordoba
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L’organizzazione attuale del piano nobile di Villa Sant’Isidoro De Cordova è databile alla metà del Settecento come attesta la firma e la data riportata nella decorazione del grande salone dipinto a “trompe l’oeil”, il 1753.  A questo periodo è riconducibile la maggior parte delle opere di trasformazione dell’edificio, anche se ulteriori interventi vengono eseguiti nella seconda metà dell’Ottocento dopo che una Del Castillo sposa, nel 1849, un De Cordova . L’ingresso della famiglia è documentata dal blasone dipinto sul soffitto della prima stanza, a cui si accede dallo scalone monumentale, al centro del quale sono leggibili le armi delle famiglie Del Castillo, De Cordoba, Mastrilli e Paternò. Da qui comincia il percorso di visita all’interno degli ambienti che obbediscono alla regola francese dell’enfilade, attraverso una successione di vani porta che in taluni casi, in ossequio alla simmetria degli spazi, diventano doppi. Dal grande vano d’ingresso, detto “quadreria”, si sviluppano i tre ambienti dell’ala est , l’area più privata del piano nobile: uno studio e due camere da letto con i decori in stucco, testimonianza delle trasformazioni nella seconda metà dell’Ottocento. Nell’ambiente attiguo alla camera padronale, verosimilmente l’alcova, con un soffitto a travi dipinte con decori bianchi e blu che documentano la fase seicentesca della villa, sono esposti abiti femminili e un prezioso corredo con abiti da battesimo e comunione. Nell’ala ovest si susseguono gli ambienti di rappresentanza: lo studio con alle pareti i dipinti più importanti della casa museo (Jusepe de Ribera, Pietro Novelli, Scipione Compagno), i ritratti degli antenati della famiglia e il soffitto decorato a tempera; il grande salone con le finte architetture, armi e crateri, opera firmata e datata di Rocco Nobile e, nella volta, l’Allegoria della Giustizia, dipinta dai fratelli Tresca, pavimentato con quadrelle in terracotta smaltata; la Sala delle armi dove alle pareti sono esposte le collezioni d’armi della famiglia e una collezione di monete e banconote. Le porte lignee che collegano i tre ambienti, decorate a foglia d’oro con pitture policrome, rimandano ai tipi del tempo: fiori, vasi, elementi fitomorfi e conchiliformi, impreziosiscono gli ambienti e richiamano i temi del trompe l’oleil del salone. Gli ultimi tre ambienti ospitano la collezione di camere oscure, macchine fotografiche e cineprese con lastre fotografiche ed elementi per lo sviluppo fotografico e il ritocco, giocattoli d’epoca e fumetti ed, infine, l’ambiente dal quale si raggiungerà la terrazza panoramica in cui sono esposti abiti , cappelli , calzature e accessori sia femminili che maschili.

Sul territorio, nel comune di Santa Flavia ma molto vicino a Bagheria ci sono anche: 

Villa Spedalotto
Villa-Spedalotto
Villa Spedalotto è una residenza di villeggiatura situata su una collina ai margini della piana di Solanto, circondata da oliveti e agrumeti. La casa, ad un piano, è costruita attorno ad una corte aperta, con due corpi di servizio che si dipartono dal corpo principale, al centro del quale si trova un pronao in stile Neoclassico. Commissionata nel 1783 da don Barbaro Arezzo all’architetto Giovanni Emanuele Incardona (o Cardona, attivo a Palermo dal 1775 al 1820), fu costruita tra il 1784 ed il 1793.
Il progettista fu allievo dell’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia, il massimo esponente del Neoclassicismo in Sicilia. Nel 1790, ancora in costruzione, fu acquistata da Onofrio Emanuele Paternò, Barone di Spedalotto. Gli interni sono affrescati in uno stile tra il Neoclassico-Pompeiano e l’Impero, e sono attribuiti ad Elia Interguglielmi.
Nel 1845 fu posta l’attuale pavimentazione della terrazza, in maioliche bicrome bianche e blu di Vietri, mentre tra il 1900 ed il 1902 furono sostituiti i pavimenti all’interno. La parte centrale del prospetto, parzialmente danneggiata da un bombardamento aereo alleato nel 1943, fu ricostruita nel 1945.
Dal 9 ottobre al 9 dicembre 1799, sono stati ospitati i principi reali ereditari Francesco di Borbone (futuro Re Francesco I) con la consorte Maria Clementina d’Asburgo, e la figlia Maria Carolina (futura Duchessa di Berry). La famiglia reale, fuggita da Napoli per la rivoluzione del 1799, era divisa tra Villa Spedalotto (i principi reali) e Villa Valguarnera (i sovrani Ferdinando I e Maria Carolina).
Successivamente vi soggiorneranno Francesco II di Borbone, duca di Calabria, e Luigi Filippo d’Orleans, futuro re dei Francesi. Una tradizione vuole che in questa Villa sia nato, nel 1810, Ferdinando II di Borbone Re delle Due Sicilie, ma la storiografia ufficiale lo indica nato a Palermo, a Palazzo Reale.
Durante gli anni 70 del XIX secolo vi soggiornò spesso l’astronomo gesuita padre Angelo Secchi che, amico del Marchese di Spedalotto, usava la terrazza per le sue osservazioni.
Il 30 marzo 1987, nella cappella della Villa, è stato celebrato il matrimonio tra il duca d’Aosta Amedeo di Savoia e Silvia Paternò dei Marchesi di Regiovanni, Marchesi di Spedalotto e Conti di Prades (Palermo, 31 dicembre 1953).
Nel 1991 è stata la location per alcune scene del film Johnny Stecchino di Roberto Benigni. (Proprietà privata)
  
Villa San Marco
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Venne edificata nel 1673 intorno ad una preesistente torre d’avvistamento del XVI secolo per il controllo di piantagioni di “cannamele” (canna da zucchero). Progettista fu l’architetto Domenico Cirrincione, frate domenicano, incaricato da Vincenzo Giuseppe Filingeri, Conte di San Marco, Principe di Mirto e Grande di Spagna.
È un raro esempio di architettura civile di stile Manierista, che fonde elementi militari (bastioni angolari, merli, ponte levatoio, alte mura di cinta), a caratteri tipici dell’architettura residenziale (scalone monumentale a doppia rampa, balconi, cappella).
Da due portali monumentali si accede ai giardini recintati, denominati “floretta” e “fruttiera”, dove sono presenti alberi dalle dimensioni monumentali.
Durante la seconda guerra mondiale lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa, cugino dei Filingeri per parte di madre, soggiornò in questa Villa. (Proprietà privata)

Villa valdina
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Villa Valdina è una la residenza di villeggiatura, costruita tra il XVII ed il XVIII secolo dai Papè Principi di Valdina, Protonotari del Regno. Si trova al centro della piana di Solanto, circondata da un grande fondo agricolo che ne lambisce gli estremi, il Castello dal lato mare, e l’antica Consolare de Spuches a monte.
Intorno all’originaria torre quattrocentesca fu edificata una grande villa barocca con due corti, una ovale di servizio ed una quadrata privata. Intorno alla casa furono piantati i giardini, riccamente decorati da vasi e fontane. Uno dei giardini cinto da mura, racchiude la deliziosa Cappella “Rocaille” della villa, con il prospetto ricoperto da conchiglie incastonate. Pietro Novelli detto il “Monrealese”, allievo palermitano di Antoon van Dyck, fu ospite del Principe di Valdina per qualche mese nel 1631.
Per sdebitarsi dell’ospitalità (era fuggito da Palermo), decoró l’interno del muro di cinta del giardino della cappella, con le stazioni della Via Crucis, e l’interno della Cappella con affreschi sulla Natività. Gli affreschi sul muro sono stati quasi cancellati dal tempo, mentre quelli della cappella sono stati trasportati su tela negli anni Settanta.
Una lapide ricorda che il re Ferdinando III di Borbone fu ospite di questa villa in due diversi momenti, il 7 maggio 1779 e una seconda volta il 6 maggio 1780, per “venationis causa” (caccia). (Proprietà privata)

(Notizie storiche da Wikipedia)