Il limone perduto di Vincenzo Lo Meo

Ultima modifica 25 maggio 2022

Il limone perduto di Vincenzo Lo Meo
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I centocinquant’anni della limonicoltura nel comprensorio di Bagheria
“…Come dimenticare che tutta la vita annuale era ritmata dai lavori agricoli e dalle raccolte, e che le spese importanti erano legate al buono o cattivo  raccolto di limoni; “quannu coggiu i bastarduni ni parramu”.
Come dimenticare che con pochi tumuli di terreno ci sisentiva ricchi e si assumevano pose “baronali”: “Pi ‘sta jirnata i fici l’omini” rispondeva un piccolo proprietario a chi gli chiedeva in mano la figlia. E se poi quei tumuli erano nelle contrade migliori ti sentivi il padrone del mondo e se erano tra le peggiori  ti potevi solo dannare: “ammatula ca manci carni e pisci la crita di Scannicchia nun ti canusci” è inutile che ti alimenti bene  per far rendere terre ingrate.
E come dimenticare che quando i prezzi diventarono davvero allettanti si fecero non solo investimenti, ma autentiche pazzie e miracoli come quelle di impiantare limoni nelle crete di “Serradifalco”, nelle “zarfine” (terrazzamenti) del “fiume” o su per le rampe di Consona?
Con la cura maniacale della donna di casa che sistema il salotto, in punta di forbici a tagliare “sancisuchi” o con il corto e pesante “zappuni, che, si sa, “avi i corna”, a raschiare erbacce. Così comincia la nostra storia col profumo della zagara, e finisce con l’agro e la muffa dei limoni “scafazzati”
dalla prefazione del Prof. Antonino Morreale
Edizioni Il Nuovo Paese – Anno 2010 – Pagine 255