Recensione della mostra " Guttuso- La forza delle cose" in esposizione a Villa Zito
Pubblicato il 11 gennaio 2017 • Comunicati
Riceviamo e pubblichiamo:
Realismo guttusiano e sperimentazione avanguardista a confronto.
Dopo tante pagine di interventi politici sulla riapertura del museo Guttuso, è ora di aprire qui un discorso esclusivamente artistico-culturale sull’ importante avvenimento.

È doveroso dire anzitutto che la nostra valutazione critica sul patrimonio artistico di villa Cattolica è molto positiva. La collezione di opere d’arte, a partire dal nucleo essenziale dei quadri del Maestro bagherese e dei suoi amici pittori, risulta ulteriormente incrementata da lasciti, donazioni e qualche acquisizione.
Questo nucleo originario, comprendente, se non ci sbagliamo, un centinaio di opere tra quelle di Guttuso e dei pittori vicini al Maestro, è stato oggi integrato con opere di artisti bagheresi e del comprensorio. Ne risulta così un’operazione intelligente e ben riuscita grazie soprattutto all’interesse e al lavoro dell’ex direttrice Dora Favatella Lo Cascio.
L’intuizione geniale della Lo Cascio consiste nell’ avere approfondito l’interesse di Guttuso per la materia delle cose, la sostanza visibile, in parole povere per la terra, da cui sono estratti i colori, e in particolare per la terra siciliana in cui affondano le radici di un’arte che, attraverso la linfa vitale estratta, germoglia e dà nuovi frutti.

Per questi motivi i visitatori di villa Cattolica non devono stupirsi se accanto alle opere figurative di Guttuso, spesso realizzate con tensione e forza espressiva, trovano opere astratte e d’avanguardia. La terra, il realismo guttusiano non possono precludere esiti estremi, l’attenzione al mondo di oggi, la ricerca, la sperimentazione continua, incessante dell’arte contemporanea. Bisogna pertanto essere di larghe vedute per apprezzare interamente un patrimonio artistico, come quello del nostro museo, che comprende opere di pittura d’impianto ottocentesco, ci riferiamo alle tele di Onofrio Tomaselli, fino ad arrivare alle opere astratte o di sperimentazione avanguardista come quelle di Giovanni Castiglia, Gim Balistreri, Lillo Rizzo, Mario Liga, Giovanni e Alfonso Leto, Carlo Lauricella. Ma andiamo per ordine.
Il percorso museografico non è stato realizzato per date. Le stesse opere di Guttuso stanno spesso accanto a quelle dei suoi amici pittori. Comunque non è difficile ricostruire un percorso temporale che partendo dai ritratti di Onofrio Tomaselli, si snoda via via attraverso l’esposizione delle tele di Domenico Quattrociocchi, raffiguranti paesaggi rurali con mucche, ponti ed abbeveratoi della campagna romana, realizzati, nella maggior parte, negli anni ’30 ma rivolti nostalgicamente ad una pittura del passato.
Con Pina Calì però siamo ad una svolta, ad una rottura con l’Ottocento, ma la sua arte risente del forte richiamo di un ritorno all’ordine, al classicismo, che furono propri della scuola del Novecento. Bellissimo il suo quadro Ragazzi seduti del 1934, superiore, a nostro giudizio, alla tela di Topazia Alliata intitolata Arsura. Donna alla fonte (1931). Sempre rispettosa del canone d’arte propagandato dalla scuola del Novecento è la scultura assai pregevole di Silvestre Cuffaro Bambino dormiente (1938.) Ma già l’opera di Lia Pasqualino Noto Figure al mare (1936) è animata da un vento nuovo che rompe l’equilibrio classicheggiante e porta a nuovi esiti il linguaggio figurativo, che si fa più morbido, ondeggiante. Lia Pasqualina Noto per chi non lo sapesse fu amica di Guttuso e con il Maestro bagherese fondò a Palermo nel 1932 il Gruppo dei Quattro (Lia Pasqualino Noto, Nino Franchina, Giovanni Barbera, Guttuso). Anche se Guttuso viene considerato un allievo di Pippo Rizzo, pittore palermitano futurista che però a partire dal 1930 si avvicinò alle tematiche novecentiste, la pittura del maestro bagherese assume nel tempo una sua originalità nell’espressione di un realismo in forte contrasto con le scuole accademiche del tempo.
A questa originalità Guttuso perviene gradualmente, com’è testimoniato dalle sue prime esperienze giovanili che risentono soprattutto del clima culturale del tempo, dell’ideologia fascista, a cui per fortuna riesce a sottrarsi per giungere ad esiti nuovi, personali. Oggi purtroppo tutto quel che è firmato da Guttuso viene considerato importante.
Bisogna apprezzare meglio l’arte del Maestro inserendo quest’ultima soprattutto nell’ambito di una cultura europea, di cui Picasso, l’espressionismo tedesco costituirono in parte l’anima.
Per questo motivo in quest’articolo parleremo solo delle opere di Guttuso che più ci piacciono tra tutte quelle esposte nel museo bagherese, pur consapevoli del rischio di risultare troppo parziali e riduttivi. Cominciamo con parlare del drammatico dipinto del 1958 dal titolo Patriota fucilato, dove dolore e sangue sono impastati con i pennelli nella rappresentazione di una esecuzione. Proseguiamo con il citare poi il Ritratto di Dario Durbé (1957), dai tratti decisamente marcati ed espressivi. Del 1959 è il dipinto Fichidindia, raffigurazione di un groviglio di pale e di spine, simboli di una terra martoriata da mali atavici, la Sicilia.
L’Autoritratto con Mimise (1966) si può considerare un autentico capolavoro realizzato con qualche pennellata selvaggia, fauve di colore verde dipinta sul volto dell’artista bagherese in una impaginazione figurativa che è una creazione originale di Guttuso. Sempre del 1966 è il grande ritratto di Gioacchino Guttuso

agrimensore, omaggio alla memoria del padre visto con i suoi strumenti di lavoro in una raffigurazione lucida e serena. Donne, stanze, paesaggi, oggetti (1966) m 4,93x 1,93 è invece un’opera pittorica monumentale su donne, oggetto del desiderio, viste nella loro intimità. Nella stessa stanza è esposta la bellissima opera pop dell’inglese Allen Jones rappresentante una figura femminile rassomigliante a un grande giocattolo. Per concludere con Guttuso citiamo qui l’opera incompiuta, realizzata nel 1986 prima di morire dal titolo Nella stanza donne che vanno e vengono, espressione fino all’ultimo respiro di un vitalismo esistenziale. Per quanto riguarda la sperimentazione e l’avanguardia italiana citiamo solo un pregevole seppur piccolo dipinto di Carla Accardi del 1950 dal titolo L’isola, esempio di quell’astrattismo del segno proprio del Gruppo Forma 1 e una più piccola ma pregevole opera di Corrado Cagli del 1958 Frottage, somigliante ad una increspatura cartacea. Da non perdere di vista dipinti quali Ritratto di Guttuso (1942) di Carlo Levi scrittore e rinomato pittore, Mulino a vento e fichidindia (1950) di Francesco Trombadori, Capanne a Fiumara di Ostia (1960) di Giovanni Omiccioli ed una lirica figura femminile di Ernesto Treccani, tutte opere figurative contrassegnate da un’ispirazione poetica ed una resa pittorica formalmente tendente al purismo. Da non dimenticare le opere surreali di Sergio Vacchi, di cui citiamo qui I mostri di villa Palagonia. Della Nuova Scuola Romana (1960) sono in esposizione tele sia pur non molto significative ed importanti di Franco Angeli, Tano Festa, Mario Schifano. Parlando degli artisti bagheresi e del comprensorio una enorme impressione ci hanno fatto le opere del compianto Mario Liga, qui rappresentato da oli stupendi dove il colore estratto dalle terre è pura materia che con esse si mescola, si confonde. Bellissimi anche i Pesci di Giusto Sucato, recentemente scomparso, realizzati in legno, latta e materiali vari. Di Gim Balistreri ci è piaciuto molto il dipinto Attila che sembra esprimere una forza selvaggia, incontrollata. Carlo Lauricella artista palermitano è qui rappresentato al meglio con due installazioni Sequenza liberatoria del 1984, dove la pittura viene coniugata alla scultura e Tridimensionale con frammenti in sospensione in cui l’artista sembra far esplodere la materia rappresentandola anche in un volo di frammenti “atomici”, “molecolari” sospesi per aria. Di Filly Cusenza ci convince solo Donna che scappa, installazione visionaria ed esempio assai significativo della sua arte del tessuto. Juan Esperanza artista di origine sudamericana, ma che vive a Sutera da molti anni, fatto conoscere al pubblico bagherese da Ezio Pagano, è presente al Museo Guttuso con Paesaggio marino, un’opera tridimensionale inquietante e primitiva. Di Giovanni Leto abbiamo apprezzato due opere appartenenti a due diversi momenti della sua sperimentazione artistica, un Orizzonte nero realizzato con carta di giornali accartocciati ed incollati su tela, risalente agli anni ’80 ed un dipinto Essenza del 2002 dove persistono solo tracce di accumuli cartacei. Giovanni Castiglia e Lillo Rizzo, quest’ultimo morto precocemente a soli 63 anni, pittori rispettivamente di Casteldaccia e Bagheria sono rappresentati da opere astratte dove il gusto del neo informale e di una ricerca poetica dell’invisibile costituiscono rispettivamente il leitmotiv. In questo contesto di opere di artisti bagheresi, vanno inserite le due tele di Salvatore Provino, appartenenti a due diversi momenti della sua produzione pittorica, la prima ancora legata ad una figurazione che risente dell’influenza di Francis Becon, la seconda che approda alla maturità dell’artista nell’espressione di un astrattismo personale ed assai seducente Per quanto riguarda l’esposizione notevole di opere grafiche ci piace qui ricordare solo, al di là dei disegni di Guttuso, due eccezionali realizzazioni eseguite da Ugo Attardi nel 1963 Con poca luce, dove eros e tensione espressiva costituiscono gli elementi fondamentali, e da Nicolò D’Alessandro Don Chisciotte da Gustav Doré (1998), in cui il segno arzigogolato viene amplificato in una fantasiosa e barocca figurazione. I visitatori del Museo Guttuso non mancheranno certamente di apprezzare altre importanti opere d’arte che noi per mancanza di spazio non abbiamo potuto menzionare.
Il realismo guttusiano tra corposità materica e figurazione illustrativa
L’esposizione bellissima di 47 nature morte di Renato Guttuso nella mostra La forza delle cose (Villa Zito, Palermo) ci offre l’occasione per dare una nuova valutazione sull’arte del Maestro bagherese, che nella pittura di oggetti, cose trova per l’appunto, a nostro giudizio, la sua più felice espressione. Su Guttuso, sul suo realismo sociale, sul suo impegno politico si è, crediamo, scritto abbastanza. È ora di focalizzare l’attenzione sull’essenza della sua pittura, al di là da temi prettamente illustrativi di una figurazione realista alquanto sopravvalutata. È ora di avere questo coraggio. È ora di dire tutta la verità su quanto pensiamo veramente dell’arte di Guttuso. La mostra La forza delle cose ci dà l’opportunità per svoltare pagina, per parlare finalmente di pittura, colore, materia coagulata, stratificata, sedimentata sulle sue tele. Questa pittura guttusiana mostra allora un senso d’appartenenza alla terra, da cui sono estratti i colori.
È l’attaccamento alla terra, a questo regno della realtà che porta Guttuso a non sconfinare mai dai suoi limiti oggettivi, contingenti in una sorta di dimensione metafisica.
Quanto sono lontane ad esempio le nature morte guttusiane da quelle di un Morandi, di un Carrà, di un De Chirico. Guttuso estrae sempre la sua linfa vitale, la sua energia dalla terra, dalla quotidianità delle cose, degli oggetti che ci circondano e mai ci isolano dal mondo al contrario dei pittori metafisici che dal mondo sembrano voler evadere nella loro ricerca dell’essenza, della purezza, della poesia finendo per dipingere sulle loro tele figure, oggetti fissati in una sorta di “magica sospensione”, “dimensione atemporale”.
A partire dalla fine degli anni trenta Guttuso, raggiunta ormai una maturità di linguaggio figurativo e pittorico, reagisce con la realizzazione dei suoi dipinti alla pittura metafisica e alle correnti artistiche da essa derivate quali il Realismo Magico, Valori Plastici, Novecento.
Nel panorama artistico italiano della fine degli anni trenta, aldilà di De Chirico, Savinio, Carrà, Morandi, Filippo De Pisis, Mario Sironi, Massimo Campigli, Felice Casorati ed altri, ecco emergere la pittura dell’ancora giovane Renato Guttuso, che qualche anno prima dello scoppio della seconda guerra mondiale (1939-1945), aveva aderito al gruppo artistico di Corrente (1938-40) in opposizione all’arte e all’ideologia del regime fascista.
Da questa adesione che comportava anche una condivisone della pittura europea, da Van Gogh a Picasso e all’espressionismo tedesco, carica di forte emotività, il Maestro elabora, pervenendo ad uno stile assai personale, il suo neorealismo. Si tratta qui di una pittura ancorata ad una visione della realtà quotidiana pregna di un terroso materismo.
Questo “materismo” ben si sposa con la rappresentazione degli oggetti ossia con la natura morta resa da Guttuso, nelle sue realizzazioni pittoriche migliori, più riuscite, in sorta di corposità plastica, di materia cromatica densa.
Tra queste realizzazioni presenti nella mostra allestita a Villa Zito, ricordiamo qui Sedia, bucranio e tavolo (1938), dove ai lati di una brocca di vetro trasparente poggiata su un tavolo stanno rispettivamente un bucranio e una sedia impagliata, simboli drammatico il primo della guerra civile spagnola, assai ricorrente nell’opera di Picasso, il secondo della pittura di Van Gogh, si vedano di quest’ultimo i dipinti La sedia di Vincent (1888) e La camera di Vincent ad Arles dello stesso anno.
Segnaliamo poi ai lettori della nostra recensione critica un altro olio su tela, Fiasco, foglie e cappello nero (1940-41). A sinistra, nel dipinto, sta una graticola che nasconde parte di un fiasco impagliato, quasi al centro una mela e un fico d’India, a destra un mobiletto rosso con sopra un cappello nero e retrostante ad esso un straccio bianco, il tutto in una composizione prospettica ben riuscita ed equilibrata, dove a risaltare nel loro contrasto sono soprattutto il bianco, il nero, il rosso.
Sempre da far risalire agli anni 1940-41 è il dipinto Natura morta con lampada,

dove il senso di matericità non è purtroppo percepibile dalla foto che pubblichiamo. Qui due degli oggetti in esso raffiguranti a sinistra un bucranio e in alto sempre a sinistra una lampada blu che pende dall’alto, richiamano ancora la pittura di Picasso.
La lampada è uguale a quella che appare in Guernica, il bucranio (simbolo di guerra) è un elemento ricorrente nell’opera del grande artista di Malaga. Tra gli altri oggetti disposti sopra un tavolo di colore ocra vi sono, un portacandela, un cesto di vimini, uno straccio bianco, una teiera, un calamaio e una gabbia rovesciata.

Dietro al tavolo si intravede la sommità della spalliera di una sedia. Lo sfondo del quadro è costituito da una tenda rossa con un squarcio in alto sulla destra. Il dipinto molto bello può considerarsi una delle opere più riuscite di Guttuso.
Dal 1940-41 arriviamo nella nostra rassegna al 1958, anno in cui il Maestro dipinse un altro capolavoro Natura morta con falcetto, qui gli oggetti raffigurati sono pochi: un imbuto, un falcetto, una bottiglia e un fiasco rovesciato. Nella composizione a predominare è il colore fauve “gettato” matericamente sulla tela con pennellate veloci.
Dal 1958 passiamo al 1961, data della composizione, da noi prediletta, dal titolo Natura morta con fornello elettrico caratterizzata da cromie terrose e cupe ottenute da pennellate dense, pastose.

Pochi oggetti anche qui compaiono sul dipinto: un bicchiere di terracotta, un fornello elettrico, una caraffa poggiati sulla superficie di un tavolo. Sullo sfondo un davanzale su cui a sinistra è poggiato un drappo rosso scuro.
Dal davanzale è visibile un orizzonte molto alto, un lembo, una striscia appena di cielo tendente anch’esso nella sua sommità estrema allo scuro. Un discorso a parte meriterebbe l’opera proveniente dal nostro Museo Guttuso, che dà l’avvio al percorso della mostra in questione.
Ci riferiamo a Lume, piatto e bottiglia del 1931. Diciamo qui solamente che, come in molte altre opere giovanili, Guttuso è influenzato dalla poetica del Novecento italiano, pervenendo però in questo dipinto, attraverso un’attenzione volta al recupero del classicismo e dei suoi valori plastici, ad esiti pittorici davvero sorprendenti. Il dipinto richiama alla mente le nature morte di Morandi, in cui, come è noto, sono dipinte delle bottiglie. Ma a colpirci è soprattutto la staticità degli oggetti raffigurati: un piatto in ceramica, un lume e due bottiglie, una delle quali poggiata sul piatto sopraddetto. Questa staticità sembra suggerire l’arresto di un tempo che si è fermato nel suo scorrere, divenire, per meglio permettere la ricerca eidetica delle cose.

La materia pittorica impasta cromie scure, bituminose rendendo più pesanti gli oggetti isolati nella loro matericità ed eretti nella notte come sentinelle immobili davanti a uno sfondo di colore bruno rischiarato a sprazzi da pennellate di colore più chiaro.
Dal 1938 al 1961 di Guttuso abbiamo in mostra altre pregevoli nature morte, di cui nel nostro articolo per mancanza di spazio citiamo en passant solo i titoli e la data di esecuzione. Iniziamo l’elenco con Cranio d’ariete (1938), e proseguiamo con Cesto, forbice e limoni (1939), Natura morta con frutta (1940), la bellissima Gabbia con cappello verde (1940-1941), un Angolo dello studio di via Pompeo Magno (1940-1941), Natura morta con drappo rosso (1942), Pagine di nature morte (1958), Cestello (1959), Damigiana e bottaccino (1959). Ma a partire già dal 1947 Guttuso anche nelle sue nature morte si rivolge al cubismo e al neocubismo per la costruzione di un nuovo linguaggio figurativo, si vedano le opere Finestra e Natura morta entrambe del 1947 e ancora Natura morta notturna e Bottiglia e barattolo dipinte nel 1948. Questa nuova figurazione si realizza però a scapito della materia pittorica, dell’energia, della forza espresse dalle terre, dai colori che caratterizzano tanti suoi capolavori che fino ad oggi non sembrano risentire dell’usura del tempo e del cambiamento delle mode.
A partire dal 1966 Guttuso ripropone in pittura dei soggetti (frutta, fiori, ortaggi) che occupano gran parte della composizione figurativa, garantendo così un forte realismo, un forte senso di oggettività alla scena da essi in gran parte rappresentata.
Nella mostra allestita a Villa Zito si vedono a riguardo Fette d’anguria (1966), Due arance sulla sedia (1967), Peperoni (1974), Cavolo (1982), Garofani (1984), Peperoni e giardino di Velate (1985), Angurie (1986). Tra quest’ultime da noi citate ci piace parlare, sia pur brevemente, di Cavolo, dove d’acchito ci colpisce un’accesa cromia verde che si dispiega in una scala di tonalità che dal verde giunge fino all’azzurro.

Ma in questa scala di colori brillanti l’ortaggio rimane ancorato alla terra e smentisce la caratterizzazione visionaria e immaginifica di cui qualcuno ha parlato a riguardo.
La mostra La forza delle cose è stata realizzata grazie ai prestiti temporanei del Mart di Trento e Rovereto, del Museo Guttuso, degli Archivi Guttuso ed importanti collezioni private.
Piero Montana